Primogenito del potente Odino, Thor, è destinato a salire al trono di Asgard ma il suo ardente desiderio di affermarsi in battaglia lo spinge ad un'azione avventata che, non fosse per l'intervento salvifico del padre, rischia di mettere a repentaglio la pace e la sicurezza del suo regno. Rammaricato per la delusione procuratagli dall'inadeguatezza del figlio Odino decide di scagliarlo sulla Terra, privato dei suoi poteri e impossibilitato ad usare Mjolnir, il suo micidiale maglio. Almeno fino a che non sarà in grado di usarlo con giudizio.
Caduto nel nostro mondo il dio Thor si imbatte in un gruppo di ricercatori che indagano i curiosi eventi atmosferici che hanno luogo nel New Mexico e in particolare in un'astrofisica dal sorriso facile. Intanto nel regno di Asgard il fratello Loki approfitta di un malessere del padre per salire al trono.
Atteso con la curiosità che merita l'ingresso nel mondo delle pellicole commerciali e fracassone di un regista e attore noto al cinema per i suoi adattamenti shakespeariani, Kenneth Branagh conferma l'idea che pubblico (e probabilmente produzione) avevano di lui. Il suo Thor attinge a piene mani da diverse mitologie shakespeariane, dalla lotta per la successione, agli intrighi di palazzo, dall'uccisione del regnante da parte di un familiare fino all'amore proibito tra due amanti appartenenti a mondi separati. Come previsto il regista si muove con agilità, ma quando l'epica delle relazioni nel mondo dei nobili deve necessariamente tramutarsi in grande epica d'azione, il film mostra tutte le sue debolezze.
Se infatti nel mondo di Asgard il mito trova, sebbene a fatica, una dimensione propria, sulla Terra il film funziona molto meno, incastrato com'è in un New Mexico dal sapore anni '50 che calza male l'occasione. A questo si aggiunga che l'alchimia tra il gigantesco (e solo per questo azzeccato) Chris Hemsworth e la minuta scienziata Natalie Portman, interessante proprio per la lontananza fisica, sulla pellicola non si realizza mai del tutto e il loro rapporto è trattato con sbrigativa banalità, per andare a concentrarsi il prima possibile sulla rapida frustrazione del desiderio d'unione dei due.
Di contro la parte più favorita, quella d'azione fantascientifica, è messa in piedi con uno stile che ricorda i film anni ‘90 sul genere, con un uso straniante dei costumi e delle inquadrature che appare in contraddizione con l’esigenza di grande epica d'azione. In questo modo alla fine, il desiderio di un cinema in grado di unire alto e commerciale, classico e moderno, teatrale e computer grafica si infrange proprio sul terreno più determinante, quello epico.
di Stefano Scipioni
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